IL CORPO STORDITO DAL NOSTRO TEMPO
- Posted by Eva Orlando
- On 14 luglio 2023
IL CORPO STORDITO DAL NOSTRO TEMPO
PRELUDIO XI RENDEZ-VOUS DELL’INTERNAZIONALE DEI FORUM – BUENOS AIRES
L’epoca in cui viviamo è davvero singolare. Ci rendiamo conto con sorpresa che il progresso ha stretto
alleanza con la barbarie1
Come psicoanalisti non siamo abituati ad associare al corpo il significante di trattamento, essendo più
propensi a quello di cura che con il legame al suo logos di fatto annoda il corpo al sintomo che fa da
ombelico del parlessere e del linguaggio. Nell’etimo di trattamento che deriva da trahere troviamo un
rimando alla maniera di condursi con alcuno2, al modo di trattare e alle pratiche proposte. Nella nostra
epoca attuale i discorsi dominanti prediligono il trattamento alla cura laddove il corpo in questione oscilla
tra l’organicismo-biologico e le robotiche tecniche della scienza che disumanizzano il corpo. Dalle lingue che
lo parlano, dalle pratiche che lo trattano, dalle idee che lo investono, dai sensi che lo toccano,
dall’ingegneria genetica che lo duplica, il corpo non solo non è nulla di immediato, ma è addirittura
dimenticato. Di certo il corpo della psicoanalisi non è il corpo oggetto degli altri discorsi, perché il corpo non
equivale all’organismo, non è un dato costituito, naturale, assodato una volta per tutte, perché tra il
soggetto e il corpo c’è di mezzo la parola. Con Lacan sappiamo che il corpo è l’Altro e che è un campo in cui
s’inscrive il significante fino ad arrivare alla formulazione del corpo parlante. È solo a partire da queste
premesse che possiamo pensare che con la psicoanalisi il trattamento del corpo sia una chance per il
soggetto per tentare di contrastare la deriva del godimento. Mai come oggi assistiamo ad un corpo stordito
dal nostro tempo. Tra i miraggi delle pratiche, tra le promesse del virtuale e dei social, tra le continue
identificazioni immaginifiche e le neo-identità del post-moderno, tutti effetti vari e non simbolizzabili del
discorso capitalistico, il corpo ne resta stordito. Il soggetto si imbroglia con il proprio corpo e, dunque, si
perde.
Nella “Conferenza alle Università del Nord-America” del 1975 Lacan dirà: «L’uomo potrebbe dire che è un
corpo e questo avrà un certo senso perché è evidente il fatto che egli consiste in un corpo ed è quel che c’è
di più certo3», e nel Seminario sul Sinthomo, che è sempre del ’75, sosterrà “certo, il corpo non evapora, e in
questo senso è consistente4”, e cioè, l’uomo può dire che è un corpo perché consiste in un corpo; ma in cosa
consiste il corpo e in particolare nel nostro tempo? Il corpo è una sostanza che non evapora, e questa è la
condizione della sua consistenza, dice Lacan; ed è una puntualizzazione nodale per la psicoanalisi. Dunque a
partire da questa consistenza inevaporabile l’articolazione di S1 con S2 compie molteplici giri, legando e
slegando molteplici sensi che, proprio dal corpo prendono una direzione, e si va da questi: alto-basso,
destra-sinistra, interno-esterno, a quest’altri: vuoto-pieno, anima-corpo, maschile-femminile. Ragion per
cui, ed è quello che tento qui di dire, il corpo è stordito-stordetto dal nostro tempo. Allora, “quel che si dica
resta dimenticato dietro ciò che si dice in ciò che si intende5” può riguardare il trattamento del corpo? Di
sicuro in questo nuovo tempo di guerra riguarda innanzitutto e soprattutto il corpo e solo se il dire passa al
detto, attraverso i giri del detto, si coglie cosa si intenda per corpo parlante. Il dire resta dimenticato dietro il
detto e attraverso i giri del detto, il corpo parla senza saperlo. La psicoanalisi è una scommessa per il
soggetto portandolo ad abitare il proprio esilio come condizione del dire e del corpo. D’altronde, la pulsione
si riduce ad un certo modo di dire, nascosto dietro al detto, detto che è marginale rispetto a ciò che si
intende dire. Ed è così che l’eco della parola nel corpo è il reale e le pulsioni sono l’eco nel corpo per il fatto
che c’è un dire. Tra il dire e il detto, possiamo cogliere una polarità tra estensione e qualcosa che resta
estimo. La portata della psicoanalisi – e di questo ne abbiamo prova nella nostra clinica – si regge sempre su
questa polarità dentro-fuori, interno-esterno, un altrove che è alterità che possiamo definire: estimità.
Neologismo che Lacan utilizzerà la prima volta nel Seminario XVI: «Termine che congiunge l’intimo con
l’estrema esteriorità e questo in quanto l’oggetto a è estimo6 ». Si tratta proprio di “un’intima eterogeneità”
– come afferma Colette Soler -: corpo e Altro sono ciascuno interno ed esterno, questa interna estraneità è
ciò che emerge in modo esplicito, non velato, dall’ascolto clinico. Anche il dire rischia di restare estimo
rispetto ai detti che circolano nella nostra epoca. C’è un passaggio in Freud pertinente a queste questioni.
Lo troviamo in “Risultati, idee, problemi”: «La psiche è estesa, di ciò non sa nulla7». Troviamo questa
citazione in uno degli appunti che sono stati riuniti nell’ultimo volume degli scritti freudiani. Risalgono
all’estate 1938, un anno circa prima della morte di Freud, e ne costituiscono il lascito estremo – nient’altro
Freud affiderà alla scrittura. Affermare che la “psiche è estesa” significa chiudere – come ricorda Nancy in
Corpus8 – il millenario rinvio della questione del senso e dell’esperienza alla dimensione dello psichico, del
soggettivo, dell’interiore che mira all’esteriorità, dall’enigma al mistero; ma di questo la psiche non sa niente
perché l’inconscio è l’insaputo del soggetto9. C’è un altrove che il corpo parlante ci indica e ce lo indica
soprattutto a partire dalla logica della sessuazione e dalla scelta del soggetto che lo riguarda sia rispetto al
corpo che al godimento, fino ad arrivare alla formula del corpo come “sostanza godente10”. A tal proposito,
se Freud non ha esitato a riprendere e a personalizzare la frase attribuita a Napoleone “l’anatomia è il
destino11”, per Lacan la garanzia dell’identità sessuale non viene dall’Altro ma dall’atto. “Non c’è atto
sessuale che abbia peso per affermare nel soggetto la certezza di appartenere a un sesso12” e ritorna sul
senso etimologico di ana-tomia e cioè la funzione del taglio. “Tutto quello che conosciamo dell’anatomia è
in effetti legato alla dissezione. Il destino, vale a dire il rapporto dell’uomo con quella funzione che si chiama
desiderio, assume tutta la sua animazione solo nella misura in cui è concepibile lo spezzettamento del
proprio corpo, quel taglio che è il luogo dei momenti eletti del suo funzionamento13”. Ciò che vale per il
soggetto è una scelta inconscia legata ad un dire singolare che non rileva dell’anatomia e che è
determinante. La prospettiva lacaniana, ci mostra che l’identità sessuale non consiste nel credersi maschio o
femmina, ma nel tener conto dell’Altro poiché uomo e donna in quanto significanti non valgono che l’uno in
rapporto all’altro. Queste considerazioni trovano una conferma nell’ascolto di un paziente transessuale che
si trovava a dover coniugare la sua voce maschile quando veniva in seduta in abiti maschili o perlopiù
unisex, alternata ad una voce perfettamente impostata come femminile quando veniva in abiti femminili.
Spesso nella prima fase dell’analisi, ritornava sul suo videogioco preferito Path of exil, letteralmente
percorso dell’esilio. Ed è così nella sua condizione di esule, il transessuale vive lontano dal corpo che
desidera, aspira forse ad un altro godimento, così come l’esule aspira ad un ritorno in patria. C’è una traccia
– come afferma Lacan – di un esilio dal rapporto sessuale: ognuno incontra nell’Altro “la traccia del proprio
esilio14”. Esilio dal corpo di un altro più ancora che in un altro corpo. Nella clinica del transessualismo mi
sembra che valga più che per altre cliniche, l’espressione ricorrente: “l’abito fa il monaco” che punta a
colmare la mancanza del supporto del suo corpo con l’abito, velando la verità (del corpo e del godimento)
che stenta a svelarsi. “Godere di un corpo quando gli abiti non ci sono più, lascia intatta la questione di ciò
che fa l’Uno, cioè quella dell’identificazione15”. L’oggetto a piccolo viene a coprire il buco del soggetto, ma
ancor di più, la a è scrittura: scrive quella cavità del soggetto, quel vuoto bordato dalla catena significante
che costituisce il reale singolare del soggetto.
Da qui una serie di questioni per il nostro Rendez-vous: cosa resta del corpo nei giri del detto? In che cosa
cogliamo il trattamento analitico del corpo nel nostro tempo? Che fine fa il corpo di fronte alle barbarie del
nostro tempo? C’è possibilità di un risveglio dallo stordimento del nostro tempo?
Eva Orlando
EPFCL Italia-Fpl
1 Freud S., (1938), L’uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi, in O.S.F., Vol. XI (1930-1938), Bollati Boringhieri, Torino, 1979,
pag.379.
2 Pianigiani O., (1937), Vocabolario etimologico della lingua italiana, Milano, Sonzogno.
3 Lacan J., (1975) Conferenza alle Università del Nord America in Scilicet,1975, No. 6-7, Éditions du Seuil, Paris, pp. 53-63.
4 Lacan J., (1975-1976)., Il Seminario. Libro XXIII. Il Sinthomo. Astrolabio, Roma, pag. 62, 2006. Traduzione Modificata. La trad. dal fr.:“Certes, le corps ne s’évapore pas, et, en ce sens, il est consistant” nel testo ital.: “Certo, il corpo svapora, e in questo senso è consistente”.
5 Lacan J., (1972), Lo Stordito in Altri Scritti, Einaudi, Torino, pag.445, 2013.
6 Lacan J., (1968-1969), Il Seminario. Libro XVI (1968-1969), Da un Altro all’altro, Einaudi, Torino, pag. 245, 2019.
7 Freud S., (1938), “Risultati, idee, problemi” in O.S.F., Vol. XI, Bollati Boringhieri, Torino, pag. 566, 1979.
8 Nancy J.L., (1992), Corpus, Cronopio, Napoli, 1995.
9 Lacan J., (1968-1969), ibidem.
10 Lacan J., (1975), Il Seminario. Libro XX. Ancora (1972-1973), Einaudi, Torino, pag.22, 2011.
11Freud S., (1924), Il tramonto del complesso edipico, in O.S.F., Vol. X, Bollati Boringhieri, Torino, pag.32.
12Lacan J., (1966-1967), La logica del fantasma. Resoconto del seminario 1966-1967, in “Altri Scritti” (2001), Einaudi, Torino, 2013.
13Lacan J., (2004), Il Seminario. Libro X. L’angoscia (1962-1963). Torino, Einaudi, pag. 256, 2007.
14 Lacan J., (1972-1973), ibid., pag. 139, 2011.
15 Lacan J., (1972-1973), ibid., pag.7.
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